Il Pinot Nero, base per Spumanti Metodo Classico e Metodo Martinotti

pinot nero oltrepo paveseIl Pinot Nero può essere considerato a tutti gli effetti il Re dei vitigni. Di origine francese, produce un’uva “complessa” che matura precocemente e molto sensibile al terroir ed in climi caldi giunge a maturazione troppo velocemente e non sviluppa appieno gli aromi varietali che le sue bucce possono sprigionare.

L’Oltrepò Pavese per la conformazione del terroir argillo marnoso e la sua posizione sul 45° parallelo è una delle localizzazioni mondiali ideali per il Pinot Nero, non a caso il 45° parallelo è definito anche il “parallelo del vino” poiché attraversa, oltre all’Oltrepò Pavese, Bordeaux, la Georgia, la Napa Valley. Tra tutti i vitigni a bacca rossa è considerato il più nobile ed elegante (l’unico confronto possibile è quello con il Nebbiolo), allo stesso tempo è il più difficile da interpretare, dalla vigna alla bottiglia ed anche quello che pone l’enologo e il consumatore di fronte alla degustazione forse più complessa.

L’Oltrepò Pavese, oltre ad essere la terza zona a livello mondiale per la produzione di Pinot Nero, a livello nazionale vanta il primato con 3.000 ha in produzione, da cui si ottiene la base per Spumanti Metodo Classico e Metodo Martinotti ma anche straordinari vini rossi. Parlando di spumanti furono proprio i Conti Giorgi di Vistarino, assieme ai Conti Gancia, a mettere a dimora sulle colline dell’Oltrepò Pavese il Pinot Nero a metà ‘800, primi in Italia a credere in questo vitigno francese e successivamente vinificandolo come lo Champagne, cioè con la rifermentazione in bottiglia, che trasforma il vino fermo in uno spumante. Benchè il Pinot sia appunto Nero, si ottengono vini bianchi con pressature soffici – estraendo quello che viene definito il mosto fiore. All’inizio del ‘900 l’Ing. Federico Martinotti ideò un metodo di spumantizzazione con costi più contenuti e tempi di produzione più brevi con la rifermentazione in autoclave, appunto il Metodo Martinotti.

Oggi in Oltrepò Pavese si producono Spumanti Metodo Classico base Pinot Nero, che possono vantare la Denominazione di Orgine Controllata e Garantita – D.O.C.G. – la più importante Denominazione che viene riconosciuta ad vino italiano, nella versione “bianco” ma anche rosè, tant’è che il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese è titolare del marchio Cruasè che contraddistingue lo Spumante Metodo Classico Rosè D.O.C.G., vinificato in rosa da uve 100% Pinot Nero. Spumanti che raggiungono anche i 60 mesi e oltre di rifermentazione in bottiglia, con un perlage finissimo ed una straordinaria freschezza e carattere propri del Pinot Nero. Molto diffuso anche il Metodo Martinotti che produce ottimi spumanti, non certo complessi come il Metodo Classico.

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Il Metodo Classico e la rifermentazione in bottiglia.

Capita spesso di sentire parlare di Metodo Classico, un tempo anche Metodo Champenoise poiché è la medesima tecnica usata per lo Champagne, per la produzione degli spumanti italiani, ma cos’è e come avviene? Si parte dalla vinificazione delle uve – principalmente Pinot Nero per gli spumanti dell’Oltrepò Pavese – uve selezionate in vigna e raccolte a mano in cassetta. L’uva che arriva in cantina viene subito pressata con una pressa pneumatica – spremitura soffice – e il “mosto fiore” va a fermentare in vasche d’acciaio. Tutte le operazioni vengono effettuate a temperatura controllata. Al termine della fermentazione e di diversi travasi, il vino riposa, sempre in vasche di acciaio, almeno sino alla primavera successiva quando si inizia a preparare la base spumante, cioè il vino fermo che lentamente si trasformerà in spumante. La preparazione della base spumante è il momento più complesso della lavorazione in cui vengono sapientemente miscelate dal cantiniere diverse partite di vino, anche di tipologie diverse – es. 90% Pinot Nero e 10% Chardonnay – con l’aggiunta di una miscela di vino e zucchero (unico caso in cui è possibile l’aggiunta zuccherina), zucchero che durante la fermentazione si trasformerà in anidride carbonica donando al vino la classica spuma, il classico perlage nel bicchiere ed anche dei lieviti selezionati che favoriranno la fermentazione.

Preparata la base spumante si procede all’imbottigliamento del vino col tappo a corona (tappo tipo birra); le bottiglie dopo l’imbottigliamento vengono messe a riposare orizzontalmente “in catasta” per un periodo che può variare dai 24 ai 60 mesi ed oltre. Durante questa fase viene solo monitorata la pressione che si sviluppa nella bottiglia attraverso dei campioni a cui è applicato sul collo della bottiglia degli appositi manometri che indicano la pressione sviluppata dalla trasformazione dello zucchero in Co2. Questa fase viene definita “tiraggio” o “presa di spuma”. Al termine di questo periodo, in cui il vino diventa spumante rifermentando in bottiglia, avviene la fase della sboccatura. Questa operazione è necessaria per separare i lieviti, che ormai hanno svolto il loro compito e sono diventati un sedimento, dallo spumante. Prima di tutto le bottiglie vengono portate “in punta”, cioè lentamente dalla posizione orizzontale vengono poste in senso verticale col collo rivolto verso il basso affinchè i sedimenti scendano sul tappo a corona e successivamente vengono “degorgiate”.

Un tempo questa operazione era effettuata a mano da abili cantinieri, oggi l’operazione è stata meccanizzata; si procede con il congelamento della parte finale del collo della bottiglia, la macchina apre la bottiglia e la pressione espelle una “cartuccia” di vino congelato che contiene il sedimento, a seguire si rabbocca la bottiglia, si tappa col classico tappo a fungo in sughero e si applica la gabbietta. E’ proprio il rabbocco che determina poi la tipologia di spumante; se si rabbocca con il medesimo vino si ottiene il Nature o Extra Brut, se invece questa aggiunta viene composta da una miscela particolare, composta da altri vini anche dolci, si ottengono il Brut, il Dry, l’Extra Dry e per ultimo, il Demi Sec.

Daniele Zangelmi della Tenuta Isimbarda di Santa Giuletta spiega come avviene il “tiraggio” del Metodo Classico

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